Non so chi ti colora i giorni
chi, un giorno d’aria viva, ti ha chiamato cielo
se un greco folle, che immaginava
la libertà in un grande paio d’ali di cera.
Ti ho dato il nome di un aquilone
uno dei tanti, disegnati con la biro
in bordo ai banchi, a scuola, ma intanto e’ solo
attraversando le stagioni che ti imparo.
Provengo a volte da un ragazzino
chino sopra la battima, come un gabbiano
Ascolto il mare alle conchiglie
e accanto, sulla sabbia, ho un piccolo aeroplano
di carta, e frasi di girasole
righe d’argento, come rotte da segnare
So cosa pensi, cielo, di noi piloti
Ti sono amico perché pensi in modo uguale.
Tu porti al dito una stella bianca
quella sull’ala del mio aereo è un po’ più scura
Ma è buio, vedi, e il colore è luce stanca:
non si distingue più il pilota dalla sera.
A terra i fari sembrano stelle,
giochi di lucciole, scie di stonati cori
Sopra le nubi c’è un mondo chiaro
che appartiene ai poeti e agli aviatori.
Stasera il mare è una leggenda oscura
fili di pioggia tra gli spruzzi delle ondate
Io costruisco una preghiera,
ad addormentare le memorie spaventate.
Scusa per questi passi di fretta,
per il distratto tempo che ho lasciato indietro
Con il mio foglio, che tu chiami rotta,
in mano, a guardarti inerte dal di qua di un vetro.
Ma se un amico è uguale a una costante
fissa nel tempo, anche un ritardo non e’ niente:
posso contare le ore di volo,
cercare l’alba tra la luna e l’orizzonte.
L’alba, staccata dalle parole
Silenzio, steso come nebbia su una pista
Ma le risposte dei radiofari
danno soltanto la distanza, e non mi basta.
So che dividi spazi di volo,
tempi di gioco tra il lavoro e le parole,
i nostri affetti, qualche timore
So anche che puoi gettare il mio aeroplano in mare.
Visto da terra sembri perfetto
Adesso so che non è vero, e sono felice
Resta al di fuori dei temporali,
resta mio amico per un tempo detto pace.